venerdì 31 dicembre 2010

  

La Proff.ssa Lucia Imprescia durante la lezione

La cucina siciliana di derivazione araba
La cucina tipica siciliana ha una lunga storia influenzata dalle diverse dominazioni che si sono succedute nell’isola, dai greci ai romani agli arabi, dai francesi agli spagnoli.
Gli Arabi dominarono la Sicilia dal IX all’XI secolo e moltissimo contribuirono allo sviluppo amministrativo, economico e civile dell’Isola. Rivoluzionarono la produzione agricola con le nuove colture del riso e degli agrumi, attuarono una sapiente rete di canalizzazione che permise di sfruttare le risorse idriche dell’isola. A tal proposito ci vengono in mente nomi comuni legati a tale produttività la gebbia, la saja, la zenia, la noria. I nomi agricoli non sono gli unici che  rimangono nel nostro dialetto. Ancora oggi esistono numerosissimi toponimi arabi  che caratterizzano la natura geografica di molte città: Caltagirone (La Rocca dei Geni), Caltanissetta (La Rocca delle donne), Misilmeri ( Il casale dell’emiro) e così via. L’avvento dell’Islam favorisce gli scambi commerciali nell’Isola e nei mercati abbondano i prodotti dell’agricoltura e dell’industria. Alimenti fondamentali diventano il riso e la pasta. Gli arancini, una rielaborazione di usi alimentari stranieri basata sul modo di consumare in un sol boccone del riso e della carne proprio secondo le abitudini arabe.; essa scatenerà la creatività dei siciliani a tal punto da farne un cibo tipicamente siciliano.
Per le paste, prenderanno origine a Trabìa i vermicelli, itrija, mentre di origine arabo-berbere sono i maccheroni, mukarana, lunghi fili di pasta di grano duro essiccati, che trionferanno nella ricetta della pasta con le sarde, con passolina, pinoli e zafferano. Non si deve dimenticare però che i piatti siciliani che si definiscono di derivazione araba nascono in Sicilia ad opera di usi arabi-siciliani, in cui si fonderanno la creatività e l’esperienza dei due popoli. Suggello di tale unione è il pasticcio di pollo attribuito all’emiro di Catania Mohamed Ibn Tumnah.
I caratteri comuni della cucina arabo-siciliana sono tre, “la totale assenza di antipasti, la prevalenza di piatti unici che costituiscono l’intero pasto, e il grande sviluppo della pasticceria”.
Dove gli Arabi hanno lasciato maggiormente la loro impronta è nella pasticceria. Alla gastronomia siciliana si ascrivono più di duecento varietà di dolci che a loro volta si caratterizzano per quattro ingredienti: le mandorle, il pistacchio, il miele e la ricotta. Per i gelati poi bisognerebbe scrivere un capitolo a parte. Qui ci limitiamo a dire che in arabo è detto sciarbat, sorbetto. Il più antico è forse quello fatto di gelsomino, scurzunera. Deliziosi anche il sorbetto al limone, all’arancia, alla cannella. Storica la frutta Martorana, detta anche di marzapane o pasta reale, tipico dolce palermitano a base di farina di mandorle e zucchero e confezionato in forma di frutta.
 Il nome deriva dalla nobildonna Eloisa Martorana che nel 1194 fondò il monastero benedettino vicino alla Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglia o detta della Martorana eretta nel 1143. Secondo la tradizione è nel convento della Martorana infatti che le suore preparavano i frutti di mandorla e zucchero per abbellire il convento per la visita del papa.
E ancora è di origine araba la “cassata”, qas’at, e la “ cubbàita”, qubbyta, un torrone fatto di miele con semi di sesamo e mandorle. Le influenze arabe sulla cucina siciliana sono così numerose che è impossibile in questo contesto poterle annoverare tutte. Tra Arabi dominatori e siciliani dominati, dunque, scaturirà quella cucina siciliana la cui influenza si estenderà nel tempo a tutti i paesi del bacino del Mediterraneo. 

Piccola bibliografia:
Correnti S., Breve Storia della Sicilia, Roma 1995
D’Alba T., La cucina siciliana di derivazione araba, Pa
Fischer M., La cucina araba, Mi 2007
Natoli L., Storia di Sicilia, Pa 1982

La Proff.ssa Lucia Imprescia
con il Presidente G. Caramagno




1 commento:

  1. Molto interessante conoscere le origini dei nostri piatti più conosciuti e apprendere come la maestria del nostro popolo abbia saputo rielaborare in maniera così fantasiosa il meglio delle tradizioni altrui.
    Tania Tudisco

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