mercoledì 9 febbraio 2011

L'angelo dei bimbi

    Bonzi e  Lualdi: vi dicono qualcosa  questi due nomi? Io credo proprio di no, un po’ perché sono un poco più anziano di voi, e un po’ per il fatto che certi eventi, anche se sono straordinari, colpiscono di più la fantasia ed entusiasmano le Comunità italiane all’estero, mentre lasciano  nell’indifferenza la maggior parte delle persone nella Madrepatria.
Allora ve li presento:
Maner Lualdi,  visse tra il 1912 e il 1968, giornalista del “Corriere della Sera”, aviatore, impresario teatrale e finanziatore di spettacoli, uomo generoso e, perciò, con spesso dolenti note di debiti;
Leonardo Bonzi, di nobile casata, conte, vissuto tra il 1902 e il 1977, Medaglia d’Oro al Valor Aeronautico, 4 Medaglie d’Argento al V.M., pilota con record mondiali, Olimpionico della montagna, Campione italiano di tennis, Medaglia d’Oro al Valore Atletico, avvocato, scrittore e giornalista.
Due uomini che più diversi tra loro, anche fisicamente, non avrebbero potuto essere, eppure amici per la pelle. Nel 1949, a bordo di un comune aeroplano da turismo, un SAI-Ambrosini 1001 “Grifo”, iniziarono la loro trasvolata da Milano a Buenos Aires per raccogliere fondi in favore  dell’Opera di Assistenza di Don Carlo Gnocchi.
L’iniziativa era partita proprio da Don Gnocchi, il quale aveva avuto l’idea di inviare un messaggio alla Comunità italiana residente in Sudamerica per far presente l’urgente bisogno di un aiuto finanziario per le migliaia di bambini orfani, storpiati e mutilati di guerra, soprattutto a causa delle mine anti-uomo, di cui quel Sacerdote si occupava.
   Il velivolo usato, battezzato, appunto, “L’angelo dei bimbi”,  era un comune aereo biposto da turismo ad ala bassa, con carrello fisso. Il suo motore, costruito dall’Alfa Romeo, aveva una potenza di 130 Cavalli e consentiva all’aereo una velocità media di poco superiore ai 200 km/h.  Per renderlo adatto al volo con temperature tropicali fu dotato di un’elica metallica a passo variabile prodotta dall’Alfa, ed inoltre furono aggiunti serbatoi ausiliari di benzina e olio per aumentarne l’autonomia e consentirgli di volare senza scalo per le 26 ore necessarie alla trasvolata atlantica dall’Africa settentrionale all’America del Sud.
Per guadagnare in peso, il piccolo aereo fu privato anche della radio di bordo e i due piloti dovettero contare solo sulla loro abilità, sulla loro scrupolosa preparazione, e sulla fortuna.
   Alla partenza, più d’uno si disse che quel trabiccolo non ce l’avrebbe mai fatta, ma Bonzi e Lualdi, invece, arrivarono a Buenos Aires dove furono accolti con grandi manifestazioni di entusiasmo. I comitati per la raccolta dei fondi, istituiti in tutte le città toccate nel percorso, raccolsero tra i poveri emigrati italiani oltre 500 milioni di lire: una cifra enorme per quel tempo, quando il latte costava 100 lire al litro. I due piloti vennero accolti con tutti gli onori dal Presidente Péron  e dalla moglie Evita nella loro dimora.  L’apparecchio fu poi donato all’Argentina con una solenne cerimonia a ricordo dell’impresa, ma, purtroppo, nel mese di maggio 1949 precipitò e andò distrutto causando la morte dei due aviatori italo-argentini cui era stato affidato per un giro propagandistico nel Centro-America. Nel Museo dell’Alfa Romeo ne è esposta una perfetta replica.
   A questo punto vi sarete chiesti cosa c’entro io con Bonzi e Lualdi,  e con questa storia.  Nel 1949 avevo 19 anni ed attraversavo un periodo di grave crisi psicologica: la prematura scomparsa di mio padre, il fatto di non essere riuscito a superare l’esame psico-fisico al Concorso di ammissione all’Accademia Aeronautica (ero esile, magrissimo, e pesavo, allora, solo 47 chili!) e, non ultimo, l’aver dovuto abbandonare gli studi d’ingegneria a causa delle difficoltà economiche della mia famiglia, mi avevano condotto sull’orlo della depressione. E tuttavia, quando dal “Corriere di Tripoli” appresi che “L’angelo dei bimbi” di Bonzi e Lualdi, nel suo volo di trasferimento da Milano prima di compiere il balzo attraverso l’Atlantico, aveva fatto scalo tecnico all’aeroporto di Castel Benito (Tripoli), non seppi resistere all’impulso di andarlo a vedere. Così, in sella alla mia “Lambretta” (di cui ero stato il primo acquirente ed utilizzatore in Libia, nonché il fondatore del Lambretta Club di Tripoli), incurante della pioggia scrosciante di quel giorno, mi diressi verso l’aeroporto confidando nella scarsa sorveglianza all’ingresso per potermi intrufolare senza essere notato. Così avvenne infatti e, raggiunto il piazzale antistante gli hangar, notai subito il SAI-Ambrosini 1001, con la matricola I-ASSI dipinta sulla fusoliera, che faceva bella mostra di sé mentre Maner Lualdi intratteneva un gruppo di ospiti, presumo esponenti della Comunità italiana, illustrando loro le finalità del raid aereo.  Facendomi coraggio mi aggregai a quel gruppo di persone e, con un ardire di cui io stesso ebbi poi a stupirmi, mi rivolsi direttamente a Lualdi  chiedendogli di essere portato in volo da lui.
Mi guardò fisso, senza rispondermi, forse perfino infastidito dalla mia intromissione, ma dovette sicuramente sentire nella mia richiesta un tono di supplica, perché egli, dopo aver intrattenuto i suoi ospiti ancora per qualche minuto, mi rivolse di nuovo lo sguardo invitandomi con un cenno della mano a salire con lui sul piccolo aeroplano.  Avviato il motore e portato il velivolo sulla pista, decollò velocemente facendo eseguire all’aereo un volo sulla città e sulle oasi circostanti.
Discesi dall’aeroplano barcollando per l’emozione, ancora incredulo di ciò che mi stava accadendo, anche se quello, in realtà, non era stato il mio battesimo dell’aria: infatti avevo già volato, in qualità di passeggero,  sul Fiat G.12 dell’Alitalia in occasione del mio viaggio per sostenere gli esami di ammissione all’Accademia Aeronautica. Quel volo, però, a fianco ad un uomo così famoso, mi aveva regalato un’emozione che nessun trimotore avrebbe mai potuto eguagliare, ed il cui ricordo mi coinvolge emotivamente ancora oggi. 
                                                                                         
                                                                                                        Ugo Passanisi
                                                   

                         Questa è una piccola immagine dell'aereo di cui ho parlato
                                                    
                                                    




2 commenti:

  1. Avendo una certa conoscenza dell'epoca, ricordo bene Maner Lualdi ma non Bonzi. Per il volo che hai descitto, ti invidio sinceramente.

    maria

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  2. Come sempre,una bella esperienza da ricordare, narrata in maniera gradevolissima.
    Saluti.
    Tania tudisco

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